A volte, un animale che osserviamo nel cielo non è altro che lo specchio della nostra anima, un simbolo vivente dei nostri conflitti più profondi. La poesia "IO IL GABBIANO" esplora questo potente meccanismo di proiezione, mettendo in scena una distanza apparentemente fisica che è, in realtà, interamente interiore. È il racconto di una scissione, di due parti di sé che si guardano da lontano, una libera e l'altra prigioniera.
Il testo si costruisce su un contrasto verticale ed emotivo potentissimo. Da una parte c'è il gabbiano, "in alto, troppo alto", che incarna una libertà quasi disperata. La sua risata non è spensierata, perché nasce da un "cuore perso". È l'immagine di chi si eleva al di sopra di tutto e di tutti, forse per non sentire il proprio vuoto. Dall'altra parte, c'è l'io narrante, "qui a terra", in una posizione di immobilità e sofferenza. Non "sta" a terra, ma "giace", schiacciato dal peso della "compassione" e di un "cuore che duole d'amore".
Ma la vera chiave di volta, che illumina l'intero componimento, è il titolo stesso: "IO IL GABBIANO". L'osservatore e l'osservato sono la stessa persona. La poesia è un autoritratto di un'anima divisa. C'è una parte di sé che vola in alto, ridendo per nascondere il proprio smarrimento, e un'altra parte, più consapevole, che resta a terra a soffrire per quella frattura. Il "dolore d'amore" finale non è per un'altra creatura, ma è la struggente manifestazione di una profonda auto-compassione, l'amore doloroso per quella parte di sé che si è persa nel tentativo di essere libera.
Poesia:
IO IL GABBIANO
Col cuore perso ride in alto
In alto
Troppo alto il gabbiano
Io qui a terra giaccio di compassione
E il cuore mi duole d’amore
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